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Silma
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Inserito il - 23 luglio 2009 : 17:29:20  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Inserito il - 14 luglio 2009 : 09:23:12
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Ieri notte, la luna era rossa. Sanguigna. Ed è sorta sul mare, appena un poco a destra dell'ultima riga di scogli. Sembrava lo scudo ammaccato eretto da una teoria di guerrieri schierati, spezzata, stanca, ma che non può lasciarsi sommergere dalle onde nel riposo eterno.
Sembrava la stanchezza di chi non trova pace.
Non capisco che giochi stia facendo il padrone di casa. Pre che dovremo andare via, lui, la madre e la sorella sono rimasti senza abitazione. Con relative famiglie e cognati. Fate due conti. E la scoperta che il contratto, a nostra insaputa, non è mai stato registrato. Eccetera eccetera. Mi fanno pulsare le tempie questi discorsi. Non li reggo. Non sono fatta per occuparmi di queste cose, mi confondono, non riesco a seguirne i procedimenti contorti. E per istinto le rifiuto, probabilmente.
Il succo è che siccome casa mia non è mia, è sempre più probabile che dovremo cercare altrove.
Sono a L'Aquila mentre vi scrivo, per parlare con la prof della tesi. C'è un bel fresco qui, il vento viene dalle montagne. C'è il cicaleccio dei ragazzi che ripassano pert gli esami, s'incontrano, si salutano, si chiedono le novità. C'è l'andirivieni degli operai al lavoro, dei professori con le facce stanche od allegre, a seconda della provenienza. Non si sente la paura delle scosse, forse ci siamo assuefatti di nuovo, forse abbiamo di nuovo indossata la maschera di chi ha paura ma cerca la normalità, dove di normale non c'è più nulla da un pezzo.
In cielo ci sono gli elicotteri, come sempre. Un cielo celeste, un po' caliginoso, a mano a mano verrà più caldo. Il cielo di casa mia, con le mie montagne là nella distanza.
S'incrociano gli sguardi, ed è come dissi al colle ci riconosciamo. Noi che abbiamo il grido della farfalla dentro agli occhi. Anche sconosciuti, ci scambiamo un piccolo sorriso d'incoraggiamento, subito ricomposto dalla discrezione. Ma è bastato.
Seduta ancora da sola, scrivo e sento il cemento freddo, il pavimento gelido. Mi piace questo freddo, sa di terra tranquilla. So che è solo l'effetto del passaggio dal pulmann afoso a qui fuori, se la terra ribolle me ne accorgerò tra poco, quando l'organismo si sarà abituato; ma per adesso, sto bene così. Quella notte fu un freddo di paura, il gelo del non potersi riparare, lo shock; questo è un freddo amico, c'è il profumo delle rose e dei gigli nell'aiuola alle mie spalle; sono fiori dal profumo penetrante, pomposo, ma così mescolati ai pini sono gradevoli, si stemperano a vicenda nell'aria frizzante.
Guardo le bandiere sbiadite e le crepe, guardo questo posto che ormai sta nella memoria come una cartolina percorsa dall'alito della vita. E vorrei poterci rimanere, familiare, accogliente, più di quel mare sempre più rumoroso, sempre più ostile, con il suo caldo i suoi gitanti e la sua indifferenza.
Con i suoi spettacoli, come la luna rossa, che mi ricordano che in fondo anche lì può esserci magia. Solo che per noi è troppo triste.
Scaricano detriti dalle finestre, ai piani superiori si rompe, si sgombra. Non salto più, non sempre. Ho imparato a riconoscerlo: è un cadere "liquido", è diverso dai crolli. Un piccolo tuffo al cuore c'è ancora, ma sai che sono frammenti inservibili, che non sta cadendo giù niente.
L'aria è tranquilla, comincio a sorprendermene. Sembra che non sia accaduto nulla. Per la prima volta...qui, con le spalle alle tende...ecco, per un istante solamente, nel profumo delle aiuole, nel fresco, nella quiete...malgrado i rumori dei cantieri...ecco, per la prima volta, mi sembra tutto normale.

umilmente vostra
Silma

<<la vide fra le sue braccia splendere e brillare,
fanciulla elfica ed immortale>>


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Silma

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Silma
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Inserito il - 23 luglio 2009 : 17:31:01  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Inserito il - 15 luglio 2009 : 22:12:31
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Quel bicchierone ci vorrebbe proprio, trillina caaaaaaaaaaaaaaaaldo

Una bella scena, Amon...

Ragazzi...ho finito. Finito. Fi-ni-to. Gli esami. Closed. C'est finì. Messa l'ultima firma, gli ultimi quaranta minuti più lunghi della vita, dopo aver atteso dalle dieci e mezza la prof arrivata alle 14.30 causa consigli, in un Coppito invaso di sole abrustolente. Finito. Exit.
Ero troppo esausta per esultare. Ero insieme ad alcuni amici dell'Aquilasmus.
In condizioni normali, avrei portato lo spumante da stappare insieme, probabilmente mi avrebbero buttata in una delle numerose fontane, saremmo andati al Tropical a scatenarci...
Mi si è presentata l'immagine del vuoto che è adesso al posto di quel bar, delle fontane vuote e tristi, dell'università che non c'è più.
Non so, forse mi serve qualche giorno per capire. Per assaporare.
Finiti gli esami. Manca la tesi e sono laureata.
Non riesco a rendermi conto di cosa significa.
Ho incontrato il direttore. Mi ha fatto gli auguri. Gli ho detto che anche dopo rimango a L'Aquila; mi ha dato un colpetto sul braccio col gomito (aveva le mani impegnate) e mi ha sussurrato "mi fa piacere".
Sto per laurearmi. Nonostante tutto e tutti.
Non è come era nostra consuetudine, non è come lo immaginavo...ma...ma è...ineffabile soddisfazione.

umilmente vostra
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Inserito il - 23 luglio 2009 : 17:33:23  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Inserito il - 20 luglio 2009 : 14:55:21
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Mi dispiace per lori...Colle, tutta la vicinanza di questo mondo. Pregherò con tutta l'intensità di cui sono capace, davvero. Ti stringo forte forte, te e la tua famiglia. Coraggio...

E anche tu anelluzzo, su su Non è egoismo, è sopravvivenza, pensa ai tuoi bimbi e vedrai che andrà tutto bene prima o poi.

Vi scrivo di nuovo da L'Aquila, dall'università. Qui dentro almeno fa fresco.
Sono stata a casa a prendere delle fotografie per il passaporto. Dopo, dovevo andare al centro...volevo fare la strada di sempre, passando accanto a Collemaggio. Ma non si poteva. Stavano lavorando con le gru. Mi sono avvicinata all'alpino che stava di pichhetto, era di spalle a parlare con altra gente...gli ho sfiorato una manica con due dita, gli ho chiesto se si poteva passare. La vedevo, la gru che si muoveva, ma chiedere cosa costa?
Mi ha risposto di no, che aveva degli ordini, che stavano lavorando: è la risposta di sempre, qui, ai blocchi. Una donna mi ha indicato il percorso vicino al canile, ero abituata a vederlo chiuso quel cancello, ora per forza maggiore è aperto.
Andandomene, mi sono voltata a guardare l'alpino che parlava con quella signora, del giardino botanico forse, usciva da lì. Mi sono resa conto ch'era un bel ragazzo, alto, con una voce gradevole ed il fascino della divisa, con la penna nera sul cappello. Avrei voluto poterlo dire, che forse, in un'altra situazione, avrei voluto potergli rivolgere un sorriso da donna, un grazie cortese, invece di quello di ragazza stanca, con lo zaino troppo pesante sulle spalle, la cartellina stretta al petto, ad aggrapparmici perché venivo da casa mia, perché ci sarei voluta rimanere, perché quel dover tornare indietro e fare un'altra strada faceva male, quando quel percorso era stato il mio da tre anni più volte ogni giorno. Ma come le dici, queste cose? Come ti fai capire da chi non sa? Ed il sorriso proprio non ce la faceva ad essere diverso, gli occhi non sanno cancellare i segni dell'insonnia.
Così me ne sono andata e basta, ho ripreso i giri, le corse. E ti rimangono impressi dei volti: delle signore gentili in questura, dei ragazzi conosciuti per caso e che forse non rivedrai, ma il sisma ci ha fatti tutti amici, accetti un passaggio offerto con spontaneità quando forse in altra occasione non sarebbe successo.
E le strade in cui puoi camminare sono poche, interrotte dal rumore delle macerie portate via, di qualche lavoro già incominciato. Palazzi interi vuoti, immobili giganti senza l'anima. E dagli occhi di molti ti accorgi che dicono l'emergenza è finita, ma noi siamo ancora in alto mare.
E adesso aspetto un amico per tornare sulla costa, a quella stanza provvisoria. Davanti ad un mare che non mi parla.

Spero che questa settimana inizi meglio, per tutti voi. Coraggio ragazzi. Infine dovrà passare tutto ed esserci per ciascuno di nuovo la luce.

umilmente vostra
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Inserito il - 27 luglio 2009 : 17:49:05  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Inserito il - 23 luglio 2009 : 17:44:22
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Come vanno le cose dal colle?

Non prto, sapete. Problemi vari. Resto in Italia. A casa. Insomma, in qualche posto che potrò chiamare così...Non sono delusa, no. Ho altro per la testa.

Un idiota di segretario che definisce cittadini di serie A e di serie B. Un certo Ruggeri, che vuole "le case agli aquilani", perché da una parte sta chi è nato e cresciuto qui, chi ci vive da almeno 15 anni od ha figli nati qui, dall'altro lato tutti gli altri. Perché L'Aquila è stata "costruita, conservata e curata dagli aquilani".
Non è per le norme sull'assegnazione degli alloggi, me ne frego. Il principio di base è quello che è offensivo, che mi fa rimescolare il sangue per l'indignazione. Allora, "il trauma di aver perso una casa, e poi quello di non vedersi assegnare un alloggio", i nati a L'Aquila non lo devono vivere, gli altri chi se ne frega, non è un trauma il loro; allora "bisogna che gli aquilani tornino a L'Aquila", gli altri possono anche andarsene di nuovo. Allora, noi non abbiamo sofferto, non abbiamo perduto nulla, non siamo morti, noi che non siamo purosangue.
Odio queste rivendicazioni di elite, questo nuovo feudalesimo di caste e di privilegi. Non è che un nuovo caso della stessa moneta. Ancora, un nuovo medio evo. Ma io non ci sto. Ho alzato la voce sul giornale e lo farò ovunque ne avrò la possibilità. IL principio di base è offensivo, razzista e pericoloso.
Dopo, che cosa verrà? Le classi separate? Le file preferenziali in ospedale? Il marchio sulle giacche? Il ghetto? Cosa?
Se un rappresentante politico può impunemente dire che "non si può mettere sullo stesso piano", in nome della limpieza de sangre, allora questo non è un paese civile del terzo millennio.

umilmente vostra
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Inserito il - 01 agosto 2009 : 22:00:20  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Lunedì iniziano i lavori a casa. Dicono. Finché non vedo i muratori varcare la soglia, io non voglio illudermi di nuovo.
Oggi è stato massacrante, emotivamente e fisicamente, nonostante l'aiuto validissimo di un nerboruto collega ed amico di papà. Bisognava preparare le stanze che vanno risistemate: tutto il "piano giorno", quello a livello strada, tutto il rustico, dove stavano i nonni, la nostra camera e lo studio. Bisognava svuotare i mobili, assieparli al centro, corprili; sistemare quel che ci stava dentro in scatoloni e contenitori di fortuna; togliere quadri e quant'altro dalle pareti. Corprire con appositi teli quel che non poteva essere spostato.
Da sola (la gemellina aveva una riunione, gli altri sfacchinavano di sotto), dovevo svuotare libreria, scaffali e pareti in camera nostra, riempiendo gli scatoloni sistemati nel bagno all'altra estremità del corridoio, trasformato in magazzino di fortuna. le librerie sono state poi assiepate nel centro, la scrivania appiccicata al letto di Rita, i due bauli in legno sotto e le due scatole dei nostri effetti personali sopra.
Ho riempito otto scatoloni fino all'orlo (senza ripiegare i bordi che servono a chiuderli, o non mi sarebbero bastati), due borsoni da palestra, una borsa di tela e due buste di plastica, senza contare i due zaini e la massa di roba non identificata ammucchiata sul letto di Rita, mentre sul mio sistemavo i quadri e le fotografie, con asgiugamani intervallati per proteggere i vetri, strato dopo strato.
Per lo più si trattava di libri, negli scatoloni. Libri che a maneggiarli mi facevano prudere le mani e pizzicare il naso e gli occhi per la polvere che vi si è ammassata sopra. Sui miei libri, aperti e sfogliati così spesso, chili di polvere che non avevo nemmeno il tempo di togliere. Quando ho preso quelli di Tolkien, tutti insieme, con il naso premuto sul Silmarillion in cima per non farli cadere, l'odore di polvere e libri non aperti mi ha investita dolorosamente. Ma il tempo per pensare non c'era, o non avrei mai ripreso. Li ho sistemati con tutta la cura possibile, poi sono tornata a caricarmi di tomi.
Ai quaderni, non ce la facevo più. Era un suicidio volerli sistemare tutti. Con gli scatoloni nella vasca e sul pavimento, perché lì dovranno stare almeno non mi sarei ammazzata a sollevarli, che nemmeno ce l'avrei fatta, dovevo ogni volta piegarmi ed hai un bel flettere le ginocchia, la mia schiena all'ora di pranzo iniziava a cedere. In un impeto di frustrazione e di rabbia, ho preso una busta e gettato. Tre anni di appunti universitari finiti al riciclo carta. Si saranno salvati un paio di quaderni e qualche fotocopia. Il resto, al macero. Stava solo ad occupare spazio e creare problemi. Forse me ne pentirò, ma non poteva rimanere lì in eterno. Ed io non ce la facevo più. Ho preso e buttato guardando a stento cosa maneggiavo. Era meglio così.
Le cose di Rita, le ho riposte tutte. Poi ho riempito i borsoni con i VHS. Fra poco nemmeno si leggeranno più...ma a buttarli, quelli non ce l'ho fatta. Magari pèrima o poi li converto in dvd. Ma stanno su quelle mensole da 11 anni...anche quelli che non vedo più, sono una presenza che conosco.
Poi le pareti: le foto, i disegnbi, i ricami, gli attestati; le medaglie di Rita accuratamente stipate. Con le mani sempre più stanche ed il caldo ed un peso in fondo al petto che faceva sempre più male.
E la mia lampada di gesso a forma di piramide, con il volto della sfinge scolpito in quel modo incavato che fa si il volto ti segua quando ti sposti, anche se la lampada è spenta. Spenta, anzi staccata dalla corrente, poggiata sulla scrivania. Mi ha corso un brivido lungo la schiena: quel volto indecifrabile mi seguiva. Una lampada, un oggetto senz'anima...eppure mi seguiva e sembrava domandare perché la lasciavo languire come un piccolo sole malato, perché era rimasta da sola in una casa in cui i nostri ricordi aleggiano intoccati, perché, con lo schifo ed il terrore che m'incutono i ragni, adesso un numero imprecisato di quella genia shelobiana brulica in casa, fa la tela tra gli scalini, profana col suo odore d'aracnide la nostra camera da letto.
Non avevo risposte da darle, ho continuato a lavorare. Cercando di non guardare fuori, alle mie montagne...
Sposta, svuota, copri...giù dai nonni, su da noi, per tutto il giorno. Quante cose buttate...ho riempito due buste nel nostro bagno: la prima pulizia non aveva eliminato tutto. Nel mentre, qualcosa era scaduto, qualcosa si era mischiato creando miscele improponibili dall'odore dolciastro che non ho voluto indagare, qualcosa era affogato nella polvere. E lo stesso in cucina: per lavorare staccheranno la corrente, abbiamo svuotato il freezer e fatto portare tutto via al collega di papà. Qualcosa si è dovuto buttare, avanzi di cene e pranzi ormai troppo lontani, muffiti pur nel ghiaccio, forse qualche ammanco di corrente, o che non si potevano dar via...
Uno spreco che mia madre ci avrebbe pianto, ma a chi portarli, surgelati a quel modo?
E poi i teli trasparenti a ricoprire con una pellicola dall'abbraccio a ventosa i mobili che non tocchiamo da mesi. E nastro adesivo a fissare le nostre promesse di ritornare. E panini consumati in cucina, col telegiornale acceso, ed il cucù che cantava...
E mamma che getta bicchieri scompagnati che fa troppo male tenere, che si lascia andare sul dondolo esausta mentre gli uomini vanno a buttare la spazzatura.
Due volte mi sono fermata a riprendere fiato. Una, in garage. Aveveo attraversato il giardino, dove i carciofi hanno raggiunto la mia altezza e sono spigati, con i loro fiori puntuti a ciuffi violacei, la ginestra è ormai un albero e le rose formano quasi la siepe del castello della Bella Addormentata, il fico ornamentale estirpato anni fa sta ricrescendo indisturbato ed il caldo mangia l'erba cresciuta tra i mattoni della discesa. Il garage, sono riuniti dei mobili: due divani, due tavolini, un'angoliera, il paravento, la sedia di bambù su cui mamma mi faceva le notti all'ospedale...Mi sono lasciata cadere su uno dei divani, quelli del salotto, a fiori, respirando forte, sfinita. Rigirandomi sulla schiena, ho visto una farfalla arancione svolazzare tra le e l'appendiabiti di legno ai piedi del divano. Sarei potutta rimanere lì e non ci sarebbe stato nulla di strano, si stava freschi ed asciutti in fondo...Invece, mi sono rialzata ed ho ricominciato. La seconda sosta è stata ore dopo, sulla mia sedia, quella presa dopo l'operazione, di plastica verde scuro con la seduta a rialzo, lo schienale alto a cui il mio dorso si adatta con familiarità. Guardavo la parete ormai sgombra, e finalmente le montagne...e volevo rimanere lì e riposare, dormire, svegliarmi quando fosse tutto tornato com'era...
E ancora impacchetta, copri, riunisci...infine, il pesce rosso lasciato di guardia, la porta chiusa, ciao casa, alla prossima...
E di nuovo qui sul mare, sabato, sera che il gruppo riparte, domani mattina arriverà gente nuova...e sono stanca e mi fa male la schiena, e c'è confusione di tutti che tornano a casa, ed io casa mia l'ho lasciata da sola, al buio delle persiane sbarrate, e presto estranei andranno a picconarla e ridipingerla ed il padrone di casa vuole metterci il bombolone del gas e gli altri inquilini han detto si, ma noi diciamo no perché non ci fidiamo e poi è una scusa per...ed io non so quanto di quella casa mi fido ancora, ma so che è casa e non ci posso tornare. E so che voglio le mie montagne. E che in questo momento mi sento tornata indietro di otto anni, col mondo da rifare, ma su una scala enormemente maggiore. Significa questo, suppongo, crescere. Ed il mio mondo mi aspetta lontano da questo mare, negli addii che da una settimana dico agli amici che partano, chi torna a casa chi va all'estero chi alla ventura, dici arrivederci ma le lacrime sanno l'addio, perché partire è sempre un po' come morire. E canticchio "che sarà" e penso se solo non fossi così stanca prenderei il mio violino, ho tanto tempo è l'occasione per riprovare, anche se la schiena non regge, chissà, poi però mi rendo conto che sono già triste abbastanza e che comunque ci vorrebbe un miracolo per farmi tenere la posizione. E sento la gente fuori che non sa e non crede e non pensa e beati loro che sono in vacanza. Stasera i miei cambiano stanza di nuovo ed a fine agosto dove andremo?
Ma questo tempo è troppo lontano. Penso a stasera che sono esausta e vi dico buona notte. E lo dico anche a quella stella che scorgo appena nelle troppe luci, e che forse splende anche sul bosco vicino casa mia.


umilmente vostra
Silma

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AmonSûl
Sveltamente




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Inserito il - 07 agosto 2009 : 12:36:42  Mostra Profilo  Invia a AmonSûl un messaggio ICQ  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di AmonSûl Invia a AmonSûl un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Porta un dolore al centro dello stomaco leggere qui sopra...
"buttare" è una delle parole dal suono più brutto al mondo.
mi scopro sempre di più attaccato alle cose... come se esse potessero ridarmi tutti i sentimenti di cui sono state protagoniste o spettatrici nel tempo passato... come un lago che la sera ridà un po' del calore ricevuto durante il giorno...
Si fa fatica soprattutto quando ti accorgi che la mente e il cuore non hanno uno spazio infinito, mentre vorremmo che esplodesse di tutto quello che abbiamo vissuto...

mi spiace "sporcare" il diario con questo post... ma sentivo il bisogno di dirlo.

CollevEnt [:381]
_________
"Tutto ciò che accade, tu lo scrivi", disse.
"Tutto ciò che io scrivo accade", fu la risposta. [:115]
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Silma
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Inserito il - 07 agosto 2009 : 17:45:17  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Grazie, colle...davvero...

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Inserito il - 22 agosto 2009 : 18:25:38  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Inserito il - 13 agosto 2009 : 19:50:30
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Ma che belloooooo tantissimi auguri alla futura mamma!

Trillyna buone vacanze...

Inizio a fare l'abitudine a questa vita, a queste stanze su e giù per le scale, le camminate per non pensare, la confusione di chi è in vacanza, il mare con la sua monotonia senza leggende, i negozi che non cambiano mai perché qui a cambiare è la gente, i libri negli zaini perché non c'è dove posarli, i pullman per rivedere le montagne anche un'ora sola, i gionali che non ti dicono nulla. Le ore che passano sempre troppo lente e l'appuntamento con la notte viene sempre troppo presto.

Non iniziano, i lavori, a casa. Non si sa quando inizieranno. Finché potremo saremo qui. Poi, a Lucoli o ad Assergi. In albergo od altra soluzione. Giorno dopo giorno. Pacchi postali per un padrone di casa che non ci tratta da persone, per gente civilissima e gentilissima che cerca di darci un tetto sopra la testa. Per un'esistenza che non ci appartiene più.
C'è chi ci dice di comprare casa: con quale denaro? C'è una ragione se non l'abbiamo mai fatto. C'è chi ci consiglia di affittarla: dove? Dove lo troviamo un posto che risponda alle esigenze maturate in 11 anni? Noi ci adattiamo, ma i nonni? E Francesco con la scuola ed il conservatorio? E sette persone non le metti ovunque, con i mobili e tutto il resto e con le necessità di due persone anziane. E poi, non è facile comunque, prendere e cominciare da un'altra parte: dove? Dove, mi chiedo. Così, a caso, punto il dito su una mappa e scelgo lì? A vent'anni lo fai, ma i miei genitori sono stanchi ed i nonni ancora di più: non hanno né la voglia né la facilità di ricominciare.
Io non so bene dove sono. Ho deja-vu continui. Mi chiedo da dove vengano. A volte mi chiedo se non sto come rivivendo una vita. Forse nel futuro da qualche parte c'è un giorno in cui tornerò indietro per cambiare chissà che cosa. Forse. Chissà. In questo momento crederei a qualsiasi fantasia.
Da qualche parte ci deve essere la soluzione. Se solo non mancassi totalmente di senso pratico. Sono una da pensiero astratto e da immaginazione, io. Di carte e leggi non ne capisco e papà più di tanto non mi dice. Sono un pesce fuor d'acqua. Ma da qualche parte l'idea che ci salva ci deve stare. Devo solo trovarla.

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Inserito il - 22 agosto 2009 : 18:29:48  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Inserito il - 20 agosto 2009 : 21:47:28
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Sto iniziando a diventare insofferente agli orari. Sto lavorando da matti all'introduzione della tesi. E dovermi interrompere nel filo del discorso per andare a mangiare o lasciare alla signora la camera da pulire è snervante., Che poi, se non scendi salgono a chiamarti in venti e mamma s'innervosisce, se non esci poi la signora deve venire più tardi e non è corretto...e non sei a casa tua quindi anche se lo farei non posso sistemarmi la stanza da sola e non posso mangiare quando mi va o saltare il pasto se ho da fare.
Così non si lavora...ho i miei ritmi. MI mancano. Mi manca potermi gestire la giornata. Mi manca poter lavorare fino a notte alta, senza prendermi le cuscinate di Francesco che vuole dormire. Mi manca poter dormire fino alle dieci e poter fare colazione in vestaglia e ciabatte guardando le mie montagne. Mi manca potermi preparare qualcosa di caldo o di fresco quando mi va. L'altra notte Rita si soffocava di tosse e non potevo nemmeno scaldarle un po' d'acqua e zucchero. Mi manca un buon caffé fatto cristianamente, altro che macchinetta del bar. Mi manca potermene stare sdraiata a leggere senza che il letto serva da succursale della scrivania. Mi manca poter scrivere su una sedia invece che sul letto, il pc od i fogli sulle ginocchia. Mi manca poter aprire le finestre senza essere investita da centomila decibel di musica. Mi manca potermi scegliere un film su sky e andarmene altrove con la testa. Mi manca sedermi a ricamare con mamma che fa l'uncinetto e rita che decoupa, come in un bizzarro circolo di Piccole Donne meno una. Mi manca accogliere papà prendendogli la giacca e la cravatta da andare a riporre. Mi manca gridare a mio fratello di abbassare la musica, in camere separate. Mi manca poter rispettare la privacy di ciascuno dei due.
Mi mancano le piccole cose che facevano il quotidiano. Quando Francesco non smentiva la sua adolescenziale scontrosità svegliandosi la notte tremando per gl'incubi. Quando mamma non era esausta per il peggiorare di nonna e cucinava e guardavamo insieme il TG commentandolo come ci pareva. Quando Rita aveva un pianoforte su cui suonare, lei e la musica, come noi non esistessimo. Quando Francesco suonava il flauto senza dover arrossire ai commenti di chi lo sente, lui così timido riguardo all'esibirsi. Quando papà tornava a casa e poteva addormentarsi sul divano dopo aver scelto cosa dovevamo vedere. Quando i nonni salivano per il caffé o glielo portavo a letto e nonno coglieva le rose in giardino. Quando andavamo a messa da Don G. Quando non c'erano gli sguardi a scontrarsi se una porta sbatteva forte. Quando, si, anche quando c'erano le scosse e ridevamo, "papà ma non le senti mai!". Quando telefonavi, "si è sentita anche a casa? tranquilli tutto bene". Quando nessuno credeva che sarebbero diventate una tragedia. Quando nessuno sapeva che ci avrebbero mutato il corso della vita.
Quando la vita ti dava l'illusione di starti nelle mani.

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Inserito il - 15 settembre 2009 : 11:55:04  Mostra Profilo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di Silma Invia a Silma un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Inserito il - 26 agosto 2009 : 15:41:24
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Viviamo dei ricordi delle persone...

Ieri ho salutato un altro amico. Parte, per la Francia. Forse ritorna. Ogni volta, dici "arrivederci" e pensi "addio".
Abbiamo fatto il liceo insieme. Ma è cambiato tanto da allora, come sono cambiata io ed anche di più. E negli ultimi anni è diventato un ragazzo fantastico e non sto parlando solo dell'aspetto. Il mio Gianlo. Lì seduti a prendere un aperitivo lo ascoltavo parlare e non mi staccavo dai suoi occhi azzurri, in quel viso dai tratti eleganti, i capelli tinti di biondo, la barba rada, scura perché in realtà lui è quasi moro, la bocca atteggiata ad un sorrisetto furbo. Narciso, lo avevo chiamato in una poesia. Altri tempi. Ora lui vive con naturalezza e passione una storia d'amore con il suo ragazzo, studia seriamente per laurearsi e poi andare a lavorare e poterci andare a vivere assieme. Sogna una famiglia. Ha sempre le stesse frasi sdegnose con quel modo di fare un po' stupido quando le dice, ma negli occhi notavo la luce diversa. No, non è più un ragazzino. Ha la mia età ma ormai lo posso chiamare uomo. Giovane, certo, ma uomo. Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quando lo prendevo in giro per la sua immaturità e lui per i miei vestiti fuori moda. Quasi tutti i miei soprannomi scolastici erano farina del suo sacco: Yoga, Demetra, Decodificatore di incubi, Perle di saggezza. Eccetera.
Ne è passato di tempo da quella notte a Praga, nella mia stanza, quel dialogo sempre più lento, con tanta gente eppure soli, accanto a quella finestra, quando, guardandolo fissare fuori, nelle luci accese dei palazzi, qualcosa di così remoto da sembrare irraggiungibile, e splendere le lacrime che non lasciava sgorgare dalle ciglia, ho capito che non mi aveva detto tutto, che c'era qualcosa nel suo cuore che faceva male. Non lo sapevo, ma era nel suo momento più nero dell'accettazione di se stesso e del suo mondo.
E adesso parte. Anche lui. In poche ore ci siam detti molte cose. Vicini come al tempo in cui ci vedevamo tutti i giorni non siamo stati mai. Vicini, e poi inesorabilmente separati dal corso della vita. Perché poco spero dei contatti scambiati: è sempre stato un tipo distratto ed in questo non è cambiato. Basti dire che questo appuntamento è andato a buon fine dopo che per 3 volte mi ha dato buca. Sciperato d'un Gianlo...

E così, rimango. Ad ogni arrivederci, lo stesso dolore. Una freccia piantata nel costato, che non puoi togliere e sta lì a fare male ad ogni respiro.
Non è la forza che manca, no. Non è la volontà. Nemmeno l'amore per la vita. Lo voglio, il futuro...
Però fa così male. E la medicina non l'ho trovata ancora.
Non posso nemmeno muovermi da qui. A quanto pare, non posso lasciare l'albergo. Prigioniera dell'attesa.
Meglio che ritorni a studiare và, la tesi non si scriverà da sola...

umilmente vostra
Silma

<<la vide fra le sue braccia splendere e brillare,
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Inserito il - 29 agosto 2009 : 16:28:55
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Per la serie, non poter stare fermi?

Fa caldo. Decisamente caldo. Da due giorni (facciamo tre) non esco dalla camera se non per mangiare. La schiena risente del condizionatore, ma le uniche volte he ho provato a fare la mia solita camminata sono tornata che avevo le vertigini. Dannata pressione bassa.
Stasera qui c'è notte bianca! Ce la farò? Ohimamma...spero in una compagnia migliore di Ferragosto
Certo, qualcosa di positivo in questo limbo di attese c'è pure: gli amici fatti qui. Ormai siamo una banda collaudata: il cameriere, la cameriera, Rita, le due altre aquilane (ci sarebbe anche miss simpatia, come la chiamiamo noi, ma non ha mai dato confidenza), Mirko (detto affettuosamente "Mirco con la c", lunga storia ) e tanta allegria. Facciamo doppia coppia fissa, Rita con la più piccola delle due sorelle di Sassa ed io con l'altra. Spettacolari.
E poi al bar con la cameriera a gossippare sui clienti, e la sera con l'altra a parlare della sua terra, le Filippine, e la ragazza rumena che fa le pulizie e bravo chi la capisce, insieme alla signora più anziana che corre sempre ed ha sempre mal di schiena. Ed i nipoti della locataria (Francesco pareva avere una cotta per la più piccola, veramente graziosa, ma chissà se ha almeno provato a dirglielo) che giocano a carte come una bisca clandestina permanente, ma qui le carte sono un must, glielo insegnano in culla, su a Brescia!
Si cercano scampoli di sorrisi, qui e là. Che altro si può fare?
La tesi è al secondo capitolo, se riesco a sbloccare un'argomentazione che si sta intrecciando su se stessa è fatta. E poi potrò pensare un poco ad altro. Forse.

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Inserito il - 21 settembre 2009 : 10:13:39
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Giove pluvio si è fermato a Roseto Ragazzi che temporale ieri notte! Tuoni che facevano tremare tutte le porte e le finestre dell'albergo, fulmini e saette a squarciare il cielo e far luce a giorno, una pioggia torrenziale che sembrava un secondo Diluvio. Anche questa mattina, rombi e minacce non si sono ancora conclusi. La stagione balneare è finita ed il tempo inclemente si scatena con inaudita violenza sulle spiagge deserte e le case dalle serrande sprangate.
Siamo rimaste solo noi due famiglie aquilane qui al Quaglia. Il 26 andremo via tutti.
So che mi mancheranno, le ragazze, i camerieri, i volti. Non mi mancheranno orari ed inconvenienti, ma quelli li ritroverò nel prossimo albergo.
Francesco oggi ha ripreso la scuola. Penso a lui e mi sento a disagio, non so che effetto possa fargli ritrovarsi in aula, con i vigili del fuoco a far fare esercitazioni per tutta la prima settimana, psicologi dietro ai porfessori, alcune ale ancora puntellate ed i banchi vuoti dei compagni che a ritornare non ce l'hanno fatta, od i genitori non hanno voluto, o non hanno potuto. Un suo amico ora è a Milano, all'accademia militare, o come si chiama.
Gli farà bene riprendere a studiare, ma spero che non ritrovi gl'incubi che negli ultimi giorni parevano avergli dato tregua. Detesta viaggiare coi mezzi, ma si dovrà abituare.
Ancora non so la data della laurea.




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Inserito il - 22 settembre 2009 : 19:15:37
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Un abbraccio fortissimo Colle Queste situazioni non dovrebbero mai verificarsi, menchemeno nell'ambiente del volontariato. Ma l'agire umano è imperfetto.
Coraggio. Finché ci sono persone come te le cose alla fine andranno bene.
La tua descrizione è bellissima sai...viene voglia di mettersi in macchina e perdersi in quelle valli belle e fiere...

Alex...indovina? Ho appena scoperto che la mia sessione di laurea è il tuo stesso giorno, alla stessa ora! Solo che sono nona, ovvero penultima, quindi credo si farà sera potrebbe essere positivo!
Vorrei avervi lì, sapete, quel giorno. Un po' questo lavoro è anche dedicato a voi, che vi siete sorbiti le mie paturnie.

Ci stiamo preparando a cambiare albergo. O meglio, si prepara mamma. Io ancora non impacchetto niente. La testa si rifiuta di fermarsi su qualsiasi cosa. Non ho la più pallida idea di cosa metter via, cosa durante la settimana può servire ancora. Oggi sono di un nervosismo irritabile che detesto io per prima.



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Inserito il - 25 settembre 2009 : 08:25:35
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Che bello Narya, quante cose che hai visto e sperimentato Alla corrida però io avrei resistito molto meno. Non riesco a guardarla neppure in televisione, figuriamoci dal vivo. Trovo che oggi esistano modi molto meno barbari e sanguinari di dare spettacolo e di sfidare la sorte.
Sarà tradizione, ma visto che ormai da qualche secolo hanno inventato modi per mantenere vivo lo spirito ma anche il toro, non vedo perché non usarli.

Qui più impacchetto roba più ne esce fuori...domani ci trasferiamo alla funivia.
Ogni tanto mi soffermo a pensare che sto tornando più vicina a casa. Sulle mie montagne. è un posto gradevole quello dove andiamo, ci sono i boschi, il fresco...Rita dice che al primo fiocco di neve si presenta dal padrone di casa con la lupara, anzi con un lupo (sceso dalla montagna perché fa freddo), ma a me non dispiace il clima su. Certo, scendere all'uni diventerà complicato, ma non più di adesso, finché non gela.
L'unico guaio è che la terra non si ferma. Anche ieri scossa superiore al 4.
Mha. Io non capisco. Si ok, ce lo siamo sciroppato sei mesi prima, ce lo sorbiremo sei mesi dopo, però...non può andarsene da un'altra parte tutta quest'energia? Che so, nel deserto, dove non può distruggere niente?
Tutti ci chiedono se non abbiamo paura. Ovvio che ne abbiamo, ma che facciamo, si emigra? Non siamo ancora a questo.
Per di più, fin'ora le lauree sono state in tensostruttura, la mia sessione è nel palazzo in cemento armato. Rita già mi stramaledice. Oh bhe, se è rimasto in piedi!



http://www.youtube.com/watch?v=wtXNNAs9u0M



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Inserito il - 26 settembre 2009 : 22:39:08
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Narya, digli da parte mia che se si riazzarda a farci prendere un simile spavento a tutti me lo faccio arrosto con le patate Fortuna che c'era quel signore!

Giornata da dimenticare. Su tutta la linea.
Dovevamo spostarci. Ieri era stato commovente, i regali alla signora (una foto di tutti noi nove, le due famiglie rimaste, ed un attestato in cui le diamo 4 stelle al posto delle sue 2), i saluti, gli auguri...
Stamattina, primo nervoso. Troppa roba, ma con tanti mesi fuori casa e chissà quanti da passarci ancora che pretendi? Allora, mamma e papà in macchina stracarica e noi tre figli in pullman. La coincidenza come al solito ritarda, ma alla fine riusciamo ad arrivare. La partenza troppo di fretta, senza nemmeno rendermi conto o dire tutto quel che avrei voluto dire, il mare fuggente senza un pensiero, mi avevan già messa di cattivo umore.
Arriviamo a casa a prendere l'altra macchina, solo per avere un'altra sgradevole sorpresa: i lavori si sono fermati. La ditta che doveva fare la parte minore, dopo il passaggio del muratore nella zona disastrata (piano nonni), e che già ci aveva fatto venire i cinque minuti perché la settimana che sta finendo avevano accidentalmente chiuso dentro un gatto randagio e non vi dico cosa aveva combinato, ha fatto le valigie. Puff. Smaterializzati. A fare un altro lavoro, ad aspettare il primo pagamento, chi ci capisce niente?
Ora il padrone di casa dice che ci ha messo un altro a lavorare. La verità con quell'avvocato è sempre labile. Sappiamo solo che è tutto fermo. Fermo. Morto.
Discussione col padrone di casa, bile nervoso, poi andiamo verso la funivia, su, sul GRan Sasso, dove avremmo dovuto essere alloggiati a partire da oggi. Posto trovato non tramite protezione civile, che non ci trovava spazio da nessuna parte che fosse buona per Francesco che va a scuola ogni mattina, ma autonomamente, come pure è previsto sia possibile, verso alberghi che abbiano dato la disponibilità ad accogliere i terremotati ed abbiano ancora stanze libere. Basta mandare poi la ricevuta di prenotazione alla protezione civile che sistema la burocrazia e mette in lista l'albergatore per i pagamenti. Ci avevano aiutati i carabinieri: con zio colonnello, le caserme dell'arma sono sempre il posto più sicuro in cui trovare informazioni e qualcuno che sa dirti chi chiamare.
La signorina alla reception dell'hotel Cristallo (non è educato fare nomi? Non sono dell'umore di essere educata) ci guarda come alieni, poi fa "Oh, si, le camere non sono ancora pronte, se vi volete accomodare, inatanto io chiamo il titolare che si occupa lui di queste cose". Forse credeva fossimo scemi o sordi, ma l'abbiamo sentita benissimo parlare al telefono, prima con una donna, poi col titolare. "Ci sono quelli di cui ti dicevo stammattina...che ci faccio con questi, a me non risulta niente...si ma questi ce li ho davanti adesso" e cose del genere. Infine ci passa il titolare. Che ci dice che c'è stata una delibera della protezione civile: gli alberghi vicino a L'Aquila devono accogliere solo chi viene dalle tende, chi sta sulla costa ci deve rimanere fino a nuovo ordine. (a quanto pare, un'altra famiglia ieri è stata fatta sloggiare dalla polizia per questo motivo).
Adesso, di questa delibera qui non sapeva nulla nessuno. Ed il tizio dell'albergo non ci ha chiamati. Lui ha dato la colpa alla signorina della reception, che ha detto non le era stato comunicato nulla. Il maresciallo che ci faceva da riferimento in zona è venuto e se avesse potuto li avrebbe inceneriti. Oltre al fatto che ci ha messo la faccia con un superiore, ma si trattano così le persone? Se ci avessero avvisati, non avremmo fatto tutta la sfacchinata. Nessuno, né il titolare, né la receptionist né la sua collega nella hall, né la protezione civile, nessuno ha detto niente! Solo una volta lì, no, tornate indietro.
Proseguo. Rita ed io andiamo a riprendere FRancesco a scuola, mentre mamma e papà seguono lo svilupparsi/non svilupparsi degli eventi. In macchina abbiamo messo a ripetizione il nuovo cd di Gigi D'Alessio. Cantavano a squarciagola, coi finestrini abbassati, per non sentire urlare il sangue nelle vene. Rita ogni tanto sembrava sul punto di piangere, allora alzava la musica e premeva l'accelleratore.
Siamo tornati su tutti e tre, con Francesco fattosi una maschera di pietra. I suoi occhi marroni, dalle ciglia lunghe e folte, quando s'incupiscono assomigliano a quelli di un animale da preda messo all'angolo e perciò letale.
La situazione si è presentata sempre più senza sbocco. E noi eravamo sempre più esausti.
A farla breve, siamo dovuti ritornare qui. Nell'albergo accanto a quello di prima. Non si sa fino a quando.
Sono scappata dalla sala della cena, troppo affollata. Ogni momento sentivo i nervi più tesi ed avrei voluto afferrare la bottiglia, il bicchiere, qulunque cosa e lanciarlo. Gridare, rompere qualcosa. Fare male a qualcuno.
Adesso sono in camera, ingombra di valigie che non ho voglia di disfare, appoggiata ad una parete che al tatto dà la sensazione sgradevole dei fogli troppo lisci. Sono qui con una rabbia immane dentro. Cosa siamo, pacchi postali? Pecore per la transumanza, da spostare a piacimento? "questi", di cui dimenticarsi come nulla?
HO lo stomaco sretto in cento nodi. Fortuna che almeno abbiamo trovato questo posto.
Ho nelle orecchie mamma che, alla storia di quell'altra famiglia, dice: "Piuttosto che portare i miei figli a vivere anche questo, vado a dormire sotto i ponti"; Rita che sibila: "se non fa fare i lavori io la prossima settimana mi piazzo col sacco a pelo in salotto"; papà che mugugna: "Tizià, e che dobbiamo fare, ce ne andiamo" e rancesco che tace, tace, tace. Con quella della reception ho sbroccato; "eccerto, tanto siamo pacchi postali, nemmeno più persone"; è sbiancata, od illividita di rabbia, per me è lo stesso. Avessi potuto meterle le mani al collo, quando ci chiamava "questi"...
Violenta? Si. Ultimamente impulsi del genere mi nascono sovente, anche se non li attuo mai.
Mi fa male la testa, la schiena, lo stomaco. Mi sento un catorcio. Mi sento la dignità offesa da troppe bugie, maneggi, illusioni.
Mi sento che potrei uccidere il primo che ci dice che "ci è andata bene".



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Inserito il - 28 settembre 2009 : 11:21:12
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Ale sarebbe bellissimo...per il 12 vedrò cosa posso fare, ci provo!

Odio questo posto. Con tutta me stessa.
Fin'ora siamo stati fortunati. Adesso, sentiamo più che mai cosa vuol dire essere terremotati in albergo. Perché qui fanno disparità.
La prima sera ci han messi tra i clienti. Da ieri, siamo nella parte dei terremotati. Si, perché la sala è divisa in due.
I clienti vengono serviti al tavolo, i terremotati si servono da soli al buffet, dove la varietà di scelta è più contenuta; il maitre ci aveva detto "non preoccupatevi che il menu è lo stesso", ma gli occhi ce li abbiamo, miseria! Le nostre bottiglie d'acqua sono di plastica e di un'altra marca. Noi abbiamo tovaglioli di carta invece che di stoffa. Quando ci parla il maitre nemmeno ci guarda in faccia.
Sono stupidaggini? Si. Lo sarebbero state fino a due giorni fa. Ora, dopo la giornata dell'altro ieri, sono pronta, come il guascone moschettiere, a prendere ogni occhiata come un insulto ed ogni ghigno come una sfida a duello. Perché quelle piccole cose sono quelle che ti ricordano, come una fascia legata al braccio, che sei lì "ospite", che la protezione civile per te paga meno di quel che guadagnerebbero con i clienti normali e chissà poi quando pagherà. Sono quelle piccole cose che il cliente vede e che ti fanno individuare. Una tizia con due bambini ieri non mi toglieva gli occhi di dosso. Finché non l'ho fulminata facendola arrossire fino alla radice dei capelli. E soprattutto, sono piccolezze che se le notavo da me e basta facevano un effetto; ma se tu mi dici che "è tutto uguale" e poi non lo è, significa che vuoi prendermi per fessa nel modo più idiota possibile e mi stai umiliando due volte.
Sono terremotata, non stupiuda. E se cerchi di prendermi per fessa divento una serpe. Lo so che sono diversa. Lo so che non sono in vacanza e nemmeno voglio sembrarlo. Servirmi da sola mi va benissimo, mi ha sempre messo a disagio essere servita, tanto che noi anche qui impiliamo da noi i piatti sporchi e prima di lasciare la stanza ci rifacciamo i letti. Mi va benissimo che risparmi su quello che mi dai, sulla lavanderia per me ed il resto, non chiedo di essere trattata come quello che non sono.
Ma non dirmi che è tutto uguale se lo vedo da sola che non è così, che certe cose per noi non le cucinate, che la frutta di stagione al nostro buffet non ce la mettete. Non dirmi che è tutto uguale se poi anche solo da come ti comporti tu si vede che non è così. Perché allora stai ledendo la mia dignità. Allora stai usando una bassezza di circostanza che mi manda il sangue alla testa. Ed alla prima occasione io te la faccio pagare.
Perché adesso sono così. Non lo sopporto più.
Domani ho la tesi e mi sento più male che mai. Non ho nemmeno scritto il discorso tanto avevo lo stomaco annodato. Vedrò cosa riesco a mettermi a fare adesso. Ma mi sento in petto un cuore di vipera.
Il padrone di casa che ci prende in giro, c'illude e disillude ogni due giorni; questi all'albergo così, i politici non ne parliamo. Domani ci sarà pure il Berlusca a L'Aquila, pregate non venga all'uni od è la volta che faccio un attentato, sono la persona sbagliata per ascoltare le sue battute del cavolo sulla gente in vacanza.
Basta. Me per scema non mi ci pigli. Non adesso. Se sono i cattivi che comandano a questo mondo, vediamo se riesco ad entrare nella cricca anch'io.
Mamma dice che non sono così, che se non mi controllo mi sentirò in colpa, dopo. Può darsi. Ma quanto è vero che sono io, non ho più voglia di controllarmi. Di farmi passare sopra. Dio mi perdoni, io non ce la faccio più. Al punto in cui siamo anche un'inezia è la goccia che fa traboccare il vaso.
Scusate lo sfogo. Almeno mettendo giù le parole mi tolgo un po' di amaro dalla bocca. Odio stare così. Ma non riesco a calmarmi. Da qualche parte dovrò riversare questo fiume di umiliazione indignata che mi sento ribollire dentro, ad inacidirmi il sangue.




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Inserito il - 30 settembre 2009 : 12:49:08
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E torno tra i vivi anch'io. Il signor dottore di cui sopra mi ha aiutata a svegliarmi stamattina mentre camminavo sul lungomare quasi deserto per non cedere al sonno dello sfinimento (sfrattata dalla camera dalle signore delle pulizie) in piena hall dell'albergo, che non sta bene nei posti di classe (ma vadano dove sanno )

Eeeeeeee si, ce l'ho fatta, nonostante tutto e tutti, nonostante mille incidenti anche nella giornata di ieri, la terra che non si ferma, i prof e la burocrazia, alberghi e cotillon, la sottoscritta infine è dottoressa 110 e lode Come dice la gemellina, abbiamo bissato!

Sono contenta. Contenta perché ho finito, perché la discussione è stata partecipata, perché il mio lavoro è stato apprezzato. La prof, alla fine, contrariamente alle aspettative, ha fatto una bella presentazione ed il presidente di commissione ha complimentato il mio modo di argomentare le scelte anche impopolari della mia traduzione. Prima che mi alzassi, mi ha chiesto come curiosità personale se io fossi anglicana Forse perché citavo dalla Bibbia a memoria, mamma dice perché rispetto alle altre ragazze, tutte scollature, tacco alto e gonna corta, il mio tailleur sembrava più "severo" (Rita dice che, con quella specie di mostrine sulle spalle ed i bordi bianchi, vista da dietro sembravo un marinaio all'arruolamento ). Sono contenta di come è andata, di non essermi impappinata malgrado, essendo la penultia della giornata, abbia fatto le montagne russe tutto il giorno, tra momenti di quiete ed altri in cui "no, non ce la posso fare, io mi ritiro, posso?".
A cena, il maitre ci ha portato lo spumante, offerto dall'albergo. Solo in quel momento mi è venuto da piangere. Non per il gesto (in mezzo a tutto il resto, aveva qualcosa della condiscendenza) ma perché solo in quel momento mi sono davvero resa conto che ce l'avevo fatta, che avevo raggiunto il traguardo. Un traguardo da cui ripartire, certo, ma uno ben preciso, per cui mi ero data da fare; tra tante cose che da me non dipendono e continuano a vorticarmi attorno, quella ch'era nelle mie mani l'avevo portata a termine. Ho stappato la bottiglia guardando negli occhi mia madre, il tappo perfettamente trattenuto nella mano (troppa gente, fosse mai che faccio male a qualcuno facendolo saltare, e poi dicono non sia galateo, ok, guardino che anche una terremotata sa esser fine), la guardavo per dire si, malgrado quel che abbiamo dovuto subire e subiamo, la dignità non me l'ha tolta nessuno e quello che valgo, laddove ho voce in capitolo, l'ho mostrato.
L'unico che, tra una risata e l'altra, metteva il broncio, era mio fratello. Il suo commento, lasciando L'Aquila, è stato: "Ecco, mo mi hanno proprio rovinato. All'esame di maturità 100 tutte e due, alla laurea 110 e lode tutte e due, e che è! Mo proprio non posso fare di meno!"
Grande Chicco che si ammazza ogni giorno per andare a scuola, si alza alle sei meno un quarto e torna alle quattro, compiti cena e poi ricomincia, più di sei ore complessive di viaggio ogni giorno, ma non dice una parola, lo fa e bastae va a scuola preparato e coi compiti impeccabili anche se al mattino ha certi occhi di sonno che alzarsi è solo pura volontà.

Ora ho fino al 19 per staccare, prima di ricominciare con la specialistica. Un attimo di requie, cercando di sistemare la fase alloggio.
Ma oggi non ho voglia di guardare avanti. Un po' di gratuito relax.
Sapete che non è così male sentirsi dire dottoressa?


p.s. Balr, ho letto il tuo post. E ti rispondo col buon vecchio Dante: "Tu proverai sì come sa di sale/lo pane altrui, e come è duro calle/lo scendere e 'l salir per l'altrui scale."



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Inserito il - 02 ottobre 2009 : 14:58:27
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Non ho nessuna intenzione di raccogliere la provocazione L'intellettuale che è in me è in vacanza e la cattolica si limita ad un bonario sorriso Come farei senza il balr?

A L'Aquila i castagni iniziano a far cadere i ricci aperti. Castagni non mangerecci, ma i lucidi frutti sono belli da vedere e si dice che tenerne tre in tasca protegga dal raffreddore. Ne raccoglievamo sempre, passando dalla villa comunale...
L'Aquila si riempie di ragazzi con gli zaini, c'è chi discute, chi fa sega (o comunque si dica dalle vostre parti), chi ripassa sull'autobus, chi si scambia le suonerie sul telefonino, chi ascolta la musica. Sembrano ragazzi come ce ne sono in tutta Italia quando si torna sui banchi, stessi capelli improbabili, stessi jeans strappati o scambiati, stesso linguaggio, stessa confusione.
Ma non sono adolescenti come gli altri. Hanno il grido della farfalla negli occhi, anche loro. Anche loro hanno visto l'istante prima della fine. Lo vedi quando lasciano perdersi lo sguardo su delle macerie che filano via con la strada, quando li senti dire un nome a voce un po' più bassa. Lo vedi da come stanno tutti stretti assieme ed ogni tanto paiono contarsi mentalmente. Dalla civiltà con cui trattano la gente, la maggior parte di loro almeno.
Se li guardi negli occhi, vedi sbattere piccole ali impazzite che supplicano un cielo senza nubi.



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Inserito il - 06 ottobre 2009 : 14:44:19
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Continuo a riempire questo mare di parole che non so più nemmeno se abbian qualche senso, o se sono solo un grido che fa troppo male dentro e cerca vanamente di guarire dal cronico senso di colpa di chi non sta facendo niente se non lasciar andare il fiato impotente su una vita che non si rimette insieme. Mi ritrovo a leggere su Il Centro di Giustino Parisse che torna a recuperare da una casa andata in pezzi quei ricordi che riempiano un briciolo dell'assenza dei figli e del padre, a leggere il capo dei vigili del fuoco parlare di quella notte ad Onna, le grida i feriti il disumano dovere di estrarre corpi che non respirano più, tanti, troppi...
E quel groppo in gola non se ne vuole andare e mi trovo a camminare senza meta, sempre più infretta, desiderando piangere incurante d'esser vista, desiderando urlare, ma quel nodo in gola non esce dalla bocca né dagli occhi e tutto quel che resta è camminare ed aspettare che si cristallizzi nell'ennesima frase l'ennesima parola, parole inutili, vuote, forse un giorno serviranno per spiegare che non finisce tutto in sei mesi, forse un giorno riusciranno a far capire che continuano ad avvenire catastrofi nel mondo e la vita di tutti ha le sue piccole o grandi alluvioni e terremoti, ma noi che siamo ancora qui anche quando sembriamo muoverci verso il futuro e3d agire e progettare abbiamo sempre quell'urlo disumano dentro, non servono i decreti a toglierci questa corona di spine dalla testa, non servono le mille cose che marcano la vita fuori a rimettere diritta la vita dentro. Vado a L?Aquila e trovo strade parzialmente riaperte e negozi che si son spostati e le scuole e tutto il resto, file chilometriche per fare i documenti come sempre all'università, parrebbe tutto voler tornare a prima ma è l'orologio dentro che è fermo, fermo, sempre, non è finita ancora quella coppa di veleno, non è caduto ancora l'ultimo rintocco. Perché basta tremi un poco la parete a cui sei appoggiata e quella notte è di nuovo lì ad alitarti sul collo e senti di nuovo la polvere negli occhi passando per strade che una volta erano tue, senti di nuovo il freddo e lo stomaco chiuso e l'angoscia di chi non sai se è ancora vivo.
Non sono andata nel centro parzialmente riaperto. Non sopporto di trovare le barriere, i blocchi dei militari, di non poter seguire i percorsi che compivo ogni giorno. Già solo Collemaggio ha fatto troppo male. E passare sempre al picchetto davanti all'ospedale, mi chiedo se quei ragazzi in verde se ne rendano conto, che non ce l'ho con loro, che non è per astio che li fisso e poi affretto il passo, è solo che quel giro interminabile laddove una volta passavo dritta e libera è come ogni volta ricordarsi di quello che è successo, è risentire l'acre odore delle macerie che iniziano a togliere ma nemmeno tanto, quando tra le tende cercavo informazioni e m'imbattevo nello spossamento di chi lì sotto stava malato infermo, file interminabili col gelo e col sole ma che si poteva fare di più?
Tutta questa gente in questo nuovo albergo, che non dà confidenza, che parla e da come parlano e vestono capisci che è gente che sta bene e per il futuro non è poi preoccupata, che non ha poi perduto molto. E li guardo e mi chiedo come fanno a non sentire più niente.
Questa maledizione di continuare a raccontare che perseguita chi anche se va avanti ha sempre quelle ali impazzite dentro agli occhi, ha sempre quell'urlo nero che gli perfora il cuore l'urlo della terra quando ci ha sconvolti, ci ha portato via le sicurezze.
Possono non servire a nulla le parole, è quel che mi rimane. Quando si spengono le luci, non ho altro contro la sensazione del mio corpo che non cessa la tensione. Infantilmente raggomitolata in una storia per prendermi, per un minuto, un'ora, l'illusione d'essere Ariel, d'essere Aurora, anche se non c'è fiaba che possa portare in salvo questa vita. Una vita che adesso sente l'artiglio del graduale ritorno a qualcosa che sappia di normale, ma allora perché dentro continui a sanguinare?



umilmente vostra
Silma

<<la vide fra le sue braccia splendere e brillare,
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Inserito il - 10 ottobre 2009 : 00:40:50
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Lo so, è notte, è tardi ecc ecc. Ma non riesco a dormire. Pur essendo stanca.
Vago nella rete con le dita stanche ormai di digitare, ma non voglio spegnere. Ho paura, stanotte, non voglio spegnere quest'unica effimera luce.



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Inserito il - 13 ottobre 2009 : 21:22:27
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Qui è arrivato il freddo. Tanto, tanto freddo. E non siamo attrezzati, ma si arriva in qualche modo a fine giornata. Quando andiamo a L'Aquila è meglio, freddo secco, anche se il vento ti porta via assieme alle tende.
Qui a Roseto i temporali sono tempeste in piena regola, alberi cadono, cespugli vengono strappati via, i sottopassaggi sono impraticabili perché allagati, i vigili del fuoco aspirano l'acqua con le pompe e ci vogliono ore. La cosa peggiore è vestirsi al mattino con abiti pregni d'umidità, un odore che ti rimane appiccicato addosso. Di notte mettiamo le coperte di lana per scaldarci e rimanere un po' più asciutti.
La luna spesso qui sorge rossa sul mare. Una poesia che fa dimenticare i brividi, e un poco la malinconia.
Abbiamo riaperto la nostra chiesa. Ho rivisto due delle mie ragazze...è stato splendido riabbracciarle.



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Inserito il - 17 ottobre 2009 : 15:57:42
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Tanta tanta neve sulle nostre montagne, il Gran Sasso e tutte quelle che circondano la conca aquilana. E tanta tanta pioggia al mare.
L'Autunno marino è umido, l'inverno già arrivato in montagna è gelido. Ma tra un sogno e quattro chiacchiere si fa trascorrere questo tempo che ci è dato. Con lo sguardo verso le nuvole, ad aspettare che si aprano a far rivedere le stelle.
Passate un buon finesettimana, tutti voi MI faccio sentire poco lo so, non sono un'amante del telefono, anzi mi mette abbastanza a disagio per indole, ma vi ho sempre nel cuore


Fa molto molto freddo qui. Il riscaldamento in questa stanza non funziona bene, ma ancora non sale nessuno a controllare. Non so da dove debba venire il tecnico.
Balrog direbbe che stiamo sperimentando la condizione della classe operaia Cibo insoddisfacente, riscaldamento ai minimi storici, vestiti negli scatoloni...eh balr? Mi ricorda dei vecchi libri
Si schereza sui disagi, che si deve fare? Non comprendo come la gente s'intestardisca a stare in tenda. Mha. Si sta abbastanza disagiati qui. Più i viaggi. Ma pazienza, passerà anche questa. Sta qui il fatto che toglie il tragico, a questa situazione: è transitoria. A casa, pare che ci torneremo.
Mi rendo conto di come l'instabilità mi stia corrodendo le energie, di come la mancanza di spazio e semplici "comodità", tipo una stanza ben riscaldata, indebolisca la volontà. C'è da riflettere su questo, in effetti. Inconvenienti dell'essere sfollati in un grande albergo Siamo stati troppo viziati prima, evidentemente.




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Inserito il - 19 ottobre 2009 : 16:56:37
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E si è ricominciato.
Sgradevole, svegliarsi in una stanza fredda, vestirsi con abiti umidi ed uscire con la prospettiva del viaggio. Di sotto il pavimento è bagnato perché le donne fanno le pulizie, rischio gamba rotta ai massimi storici, fuori è ancora buio e piove e fa freddo, ma camminando svelto lo senti di meno. Rarissimi passanti, molte auto che proiettano sull'asfalto lucido i loro occhi rotondi da gatti spiritati, mentre tu sul marciapiede gareggi allo slalom gigante tra pozzanghere delle dimensioni del Lago di Como, quando il lampione non c'è od è rotto vai a caso sperando di non farti una doccia fuori programma.
Sul pulmann la gente è sempre più nervosa, a cominciare dagli autisti, ti dico poi se becchi quello che si sente al rally. Arrivata a L'Aquila, alla Fontana Luminosa (Amon sa di cosa parlo) devo prendere un autobus che mi porti al terminal e poi un altro che mi porti alla sede provvisoria a Bazzano. Una volta avrei tagliato per il centro storico e in dieci minuti ero al terminal, ora a fare il giro a piedi ci vorrebbe molto di più e addio bus.
Freddo, anche all'uni, non hanno ancora attaccato il gas, si spera sia questione di poco. Certo vanno sistemate un po' di cose, ma i primi giorni sono per forza di rodaggio, bisogna adattarsi. In qualche modo però, è stato bello. Scambi quella frase d'incoraggiamento con il preside, abbracci qualcuno che ritorna per la prima volta, una professoressa che ancora non sapeva che fine avevi fatto. C'è un'aria di familiare, c'è qualcosa del ritornare ad un pezzetto di casa. Non è la nostra facoltà, no, come quella fuori non è la nostra vita, per chi è ancora sfollato, però...però, che volete? Ci si adatta. Nella vita, conviene fare così, o non vai avanti.
Senza progetti e senza intenzioni, comincio questo percorso senza aspettarmi nulla. Stanca del viaggiare perché non sono mai stata pendolare, ma si fa anche questo. Alla fine ci si abitua anche a peggio. E sono pur sempre tra le mie montagne, tutte coperte di neve, tutte bianche come fosse già vicino Natale. Una gioia incantata di cui avremmo tanto bisogno.



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Inserito il - 23 ottobre 2009 : 18:50:35
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L'ennesiam beffa. L'ennesimo ricatto cui non ci si può sottrarre, perché un'altra casa non c'è.
Se vogliamo rientrare, i nonni devono, entro primavera prossima, lasciare il piano che hanno sin'ora occupato, serve al padrone per sostituire un appartamento che ci mettono troppo ad aggiustargli.
Nonno ha l'alzeimer che galoppa. Inizia a non riconoscere chi ha attorno, pur stando a casa di zio, casa che conosce. Le gambe gli fanno sempre più male, va verso la paralisi. Alterna sempre più spesso apatia e scatti di collera od agitazione, con momenti di lucidità sempre più brevi, sempre più rari.
Lo stiamo perdendo, divorato da uno shock troppo forte, da uno stress troppo prolungato. E se ne preannuncia un altro, l'ennesimo, ed il dover vivere a gomito a gomito, situazione che a lui rende nervoso, irrequieto.
Dovremo trovare il modo di stringerci senza dare il colpo fatale al suo equilibrio. Non lo so come. Non lo so cos'altro possiamo fare.
So che mi hanno impedito di sfogarmi e adesso il sentimento inespresso mi si agita dentro. Vorrei piangere e non ci riesco perché qui è tutto in comune, tutto pubblico.
Finirà mai il post terremoto? Finirà mai di arrivare continuamente una scossa, quando non è geologica è emotiva?
Finirà mai?
E intanto guardo mio nonno e non so cosa fare.




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Inserito il - 29 ottobre 2009 : 13:01:56
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Ieri avevo due ore da passare in qualche modo. Sono stata al centro storico. Volevo portare dei fiori alla casa dello studente, ma quella strada a piedi non si può ancora fare. Così, sono andata solo al centro.
Riuscire a piangere sarebbe stata una liberazione, ma mi è stata negata. C'erano diverse persone che camminavano, c'era il sole, l'aria era piacevole...e camminavo tra facciate spettrali nel loro essere vuote. In alcuni punti, le impalcature erano cossì fitte che non riuscivo se non ad indovinare quel che avevano dietro, perché io sapevo cos'era; le vetrine erano l'immagine della disparità del precario, perché talune erano vuote, scaffali desolanti, pavimenti su cui il gesso aveva deposta la sua neve di abbandono; altre, erano come le aveva lasciate il 6 d'Aprile, nessun recupero, solo il caos della vita sconvolta, solo l'inesplicabile groviglio di merce che invecchia senza essere mai stata toccata. Manichini lasciati nudi ammassati come sperduti profughi inermi, o d ancora abbigliati come erano allora, su un palcoscenico che da mesi nessuno calmpesta. Cartelli di protesta o di dolore guardano dai vetri, insieme a locandine di spettacoli che non si sono tenuti più.
In piazza, quella piazza che ormai tutta Italia ha visto, c'erano due ragazze sedute sul bordo della fontana, a parlare di scuola. Una scena quotidiana, usuale...ma attorno a loro era tutto transennato, le gru portavano vigili del fuoco sulla cupola delle Anime Sante, su quel fungo di metallo, cappello credo si chiami, che le impedirebbe di continuare a sbriciolarsi, più di quanto già non sia, sbriciolata, sconnessa, dalla televisione non si capisce quanto poco sia rimasto, quanto irregolare, ormai, come lo stucco staccatori abbia reso grigio cemento alcune parti. Come sembri precaria e mangiata da un mostro enorme e terribile. Il disatro del Duomo dal basso non si può vedere, ma sapere che c'è, è ancora peggio...
Guardavo smarrita, tra vigili del fuoco e operai che andavano e venivano, qualcuno si fermava a fissarmi, io riuscivo solo a girare gli occhi intorno, sentendomi in gabbia. Sono passata davanti ad un tendone bianco, dentro qualcuno con dei pennelli lavorava su quelli che sembravano enormi brandelli di stoffa, coperti da una strana poltiglia grigiastra, messi su dei tavolati. Rita, dopo, mi ha detto che erano le grandi tele del Duomo. Non riesco ad immaginare come potranno tornare quelle di prima...
Un vigile del fuoco è passato portando qualcosa da una tenda all'altra, ho scorto un braccio bianco steso...forse un crocifisso, non lo so...sono rimasta con lo sguardo fisso molto dopo che erano uscito di vista. Mi sentivo salire una sensazione di vuoto in gola.
Perché la cosa peggiore non erano i crolli, le vetrine, le impalcature che nascondono i palazzi, i vigili che entravano ed uscivano dalla banca con scatoloni impolverati e confusi, la gente che aspettava i recuperi con elmetti gialli in testa ed occhi fissi nel vuoto, i pugni serrati e spesso amare parole sulle labbra. Il peggio per me erano quelle transenne. Continuavo a trovarmele davanti, ovunque andassi, cercavo le strade che facevo ogni giorno, erano tutte chiuse! Tutti i luoghi in cui andavo, l'università il teatro la biblioteca, i negozi che frequentavo, la sede di aquilasmus e dove facevamo il cineforum, le case dei miei amici, il seminario, lo studio del medico...qualunque luogo cercassi di raggiungere, trovavo quelle transenne di rete e metallo. Ogni strada sbarrata, ogni percorso interrotto, era come uno di quegl'incubi del labirinto in cui continui ad infilarti in un vicolo cieco, un topo di laboratorio impazzito.
Ad un certo momento iniziavo ad infilarmi in tutti i varchi aperti. Ho preso un vicolo disseminato di sprazzi di esistenza, cartoni ammassati fuori del pub, un floppy disk impolverato che chissà come c'è finito qui, una maglia appesa a una finestra. C'era un portone semiaperto, mi ci sono paralizzata davanti. Quando fanno i recuperi lasciano spalancato per sicurezza, quello era a malapena accostato, come quando esci un momento senza portarti le chiavi. Era assurdo, era inquietante. Non ho osato toccarlo, come se avesse potuto uscirne qualcosa di spaventoso, un incubo, uno spettro, mi sono allontanata in fretta e sono finita in una strada che ho il dubbio non fosse aperta. Un'impettata verso Piazzetta Nove Martiri. D'un tratto c'era silenzio. Come se il Corso aperto fosse a mille miglia. C'ero solo io. Io, ed una casa con le travi a tenere su la porta e le finestre senza più battenti né imposte, un teschio svuotato da corvi famelici. Ed i palazzi vuoti, immobili, con le tegole scivolate giù dai tetti ammassate come scarpe fuori da dimore che non parlano più. La piazzetta con la sua fontana e la statua tra alberi ed insegne cadute.
Sentivo solo i miei passi. Solo i miei passi sempre più affrettati quando sono tornata indietro facendo la discesa a rotta di collo, il respiro affannato di chi del silenzio sente l'insostenibile peso. Probabilmente non sarei potuta entrare lì, probabilmente non ci sarei dovuta andare. Probabilmente sarebbe stato meglio non esserci passata. Ho la gola secca a ripensarci.
Transenne e ancora, blocchi, militari...Una porta sbattuta in faccia, la vita di ieri che nemmeno posso vedere quanto ne sia rimasto. Sono rimasta non so quanto a fissare la strada sul cui fondo c'è uno dei palazzi della mia università. Quella distanza, quel blocco, faceva più male delle case crollate e di quella con una porta e quattro pareti che non reggono più nulla, delle finestre che affacciano sul vuoto. Quell'abisso tra ciò che avevi e ciò che sei adesso.
Neppure la bellezza nuova che mi sta colorando l'anima in questi giorni è scudo bastante contro questo. Mi sembrava d'impazzire, eppure sono andata via con le gambe pesanti di chi vorrebbe non muoversi più.
Alla villa c'erano gli operai a mangiare. Voci straniere, che passano dietro quelle transenne, dove noi non possiamo andare. Che non hanno ricordi e forse per questo possono lavorare meglio. Che passano su quello che per noi era vita. Paradosso, a noi apparteneva e non l'abbiamo più.




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Tradotto Da: Vincenzo Daniele & Luciano Boccellino- www.targatona.it | Distribuito Da: Massimo Farieri - www.superdeejay.net | Powered By: Snitz Forums 2000 Version 3.4.03